Thursday, December 20, 2007


L'ABITO FA IL MONACO?


Con il tempo, dovendomi occupare in alcuni lavori dell'editing di materiali promozionali, mi sono fatto un po' l'occhio e ogni tanto vengo preso dalla sconforto, perchè cito sempre la leggendaria sciatteria degli art directors [?] dei dischi di jazz italiani e poi mi trovo tra le mani delle cose che fanno cadere la mandibola come in un cartone di Tex Avery!


Cito solo due casi piuttosto "gravi" data la qualità delle case discografiche coinvolte:

Il primo riguarda la ristampa in cd di "Art Ensemble of Chicago with Fontella Bass", nella serie cartonata [Verve] dei vecchi lp America.
Pur a dispetto di un artwork ricercato [con finestrella interna e altre amenità], sulla costola del cd c'è scritto "Art Ensemble of Chicago with FONTENELLA Bass"
Fontenella???


Il secondo mi è capitato pochi giorni fa: approfittando di una svendita ho preso la recente ennesima ristampa in cd del buon vecchio "Duke Ellington Meets Coleman Hawkins".
Tutto bello, tutto bene, poi guardo anche qui la costola del cd e la labe è scritta IMPIULSE!
IMPIULSE???

Sono stupidaggini, è vero, ma quando un disco viene prodotto o ristampato come si deve, anche l'artwork dovrebbe avere la cura che si merita.

PS. Custodisco con cura la mitica prima stampa Splasc(h) di "Urban Shout" dei Nexus, in cui il titolo è scritto "Urban SHUOT"!

Vale una fortuna! :-)))))



Sunday, October 21, 2007




Battisti 1


Mi piace osservare le facce perplesse di qualcuno cui racconto la mia passione per Lucio Battisti.


quasi fossi un rinomato teologo che confessa candidamente di passare le proprie notti a sbavare per le hotline nelle tv private


Trovo in realtà che, al di là degli "scheletri pop" che l'armadio di ognuno di noi tiene ordinatamente appesi, i percorsi della musica leggera siano straordinariamente interessanti


Per quanto riguarda Battisti - i cui cd si trovano ora a prezzi stracciati nei negozi e allegati a popolari settimanali in edicola - forse il periodo della metà degli anni '70, tra i meno celebrati e "canticchiati" è quello che offre le migliori gemme nascoste


Titoli come "Anima Latina", "La batteria, il contrabbasso, eccetera" e "Io tu noi tutti" disegnano un interessante percorso "virale" nel cuore della canzone italiana, tra deliri mogoliani, sussulti pop, dilatazioni autoriali e spiazzanti falsetti.


Canzoni come "Abbracciala, Abbracciali, Abbracciati" [trip-hop all'amatriciana ante-litteram], "Anima Latina", un tortino prog come "Macchina del tempo", le deviazioni disco di "Ancora Tu" [basso e batteria sono della premiata ditta Bullen/Calloni] o il funk grattugiato di "Io ti venderei", per non dire di tutto l'arco narrativo di "Io tu noi tutti" - il disco "americano di Battisti, la tentazione FM - dalle stranote "Sì, viaggiare" e "Amarsi un po'" fino ai turgori di "Soli" e "Ho un anno di più", passando per "Ami ancora Elisa" e per quel quella summa dell'egoismo maschile che è "Neanche un minuto di non amore", disegnano una sorta di cuneo personalissimo nel cuore dell'italia canzonettara.


La voce di Lucio, stonata, in falsetto [deliziosa sublimazione del cantare sotto al doccia dell'uomo medio], il soul provinciale e domestico che si piega come una tovaglia di trattoria sui giri di basso, le liriche di Mogol che squarciano germogli di psichedelia casalinga e di poesia straniante [ci vivrà di rendita, mr. Rapetti], insomma Lucio da rivalutare, lontano dalle acque azzurre e dalle calzette rosse, spettro ancora sensualissimo della più lisergica quotidianità.


Monday, October 15, 2007


Braxton? Un vero signore!

"Questo matrimonio non s'ha da fare, né ora, né mai!" deve avere sbottato Cecil Taylor, cui la non giovane età, se da un lato gli garantisce ancora un'energia esecutiva invidiabile, di certo non mitiga le piccole e grandi follie e sgarbatezze caratteriali!

Che il matrimonio con un "consorte" colto e un po' pedante come Anthony Braxton non facesse per lui lo testimoniano trentacinque anni di mancati flirt reciproci e il tragicomico balletto degli eventi sui palcoscenici di Bologna e Reggio Emilia lo ha teatralmente confermato.

Di questa edizione di Angelica ricorderemo così una splendida serie di monologhi, in particolare quelli dello stesso Taylor e quello di Braxton a Bologna, prima del "gran rifiuto". Ricorderemo il passo ieratico di William Parker che cerca di scacciare gli spiriti della discordia dal palco di Reggio con il flauto.

Ma ricorderemo soprattutto due cose:


- l'ingiustificabile e orribile gesto di Cecil Taylor che abbandona sul palco lo sventurato Braxton (tra l'altro nel mezzo di uno starnazzante balbettio)


- la immensa classe e signorilità dello stesso Braxton che, dopo il "quartetto riparatore", sceglie di andare a stringere la mano a colui cui avrebbe fatto meglio a riservare una scarica di calci nel culo.

Che classe, mr. Braxton! Di quelle che non riusciresti a definirla nemmeno con qualcuno dei tuoi diagrammi! Chapeau!

Monday, July 16, 2007


MA KEITH TE LO FA FA'?
Estremamente grata la stampa – quella quotidiana in primis – a mr. Keith Jarrett, che per non smentire la propria fama di ansioso e scontroso artista, ha ben pensato di mandare a quel paese non solo gli immancabili flashatori che lo hanno "costretto" a interrompere anzitempo il concerto, ma addirittura la città tutta di Perugia!
La cosa non è ovviamente piaciuta al direttore artistico di Umbria Jazz e le scuse ufficiali del pianista sono sembrate più di circostanza che non di sostanza.

Al di là della "notizia" – che non è poi molto sorprendente, anche un paio d'anni fa all'Arena di Verona le cose erano andate più o meno così, anche se senza "anatema" – viene una volta di più da chiedersi su quali "squilibri" si regga il nodo artistico/umano/business di Jarrett.

Una sua data in trio – ma anche in solo poco cambia – costa agli organizzatori cifre che a volte si stentano a coprire anche con biglietti salatissimi e cospicui sponsor ed è evidente che questo meccanismo spinge a fare i concerti di Jarrett in posti molto grandi, in cui aumenta la percentuale degli sbadati fotografatori/tossitori/molestatori.

[Che poi, nessuno ha mai insegnato agli incauti cacciatori di immagini che il flash funziona solo se il soggetto fotografato è a pochi metri di distanza? E che quindi le loro "malefatte" sono pure assolutamente inutili?]

Credo sia ora che gli operatori incomincino a prendere coscienza del fatto che se sborsano centinaia di migliaia di euro, è l'artista a avere dei doveri nei confronti del pubblico e di chi lo paga e – fatta salva la dovuta educazione e il sacrosanto rispetto nei confronti della sua musica, che non mi sembra mai mancato – non viceversa.

Altrimenti si rischia di perdere il contatto con la realtà, come mi sembra che Jarrett abbia fatto ormai da tempo, musicalmente [dove continua a riproporre lo stesso, per quanto eccellente e fantasioso, rituale sonoro] e soprattutto umanamente.

Pochi giorni prima dell'incidente perugino, in un'intervista a Giacomo Pellicciotti pubblicata su La Repubblica, Jarrett definisce il modo di suonare del suo Standard Trio come "il più eroico che si possa immaginare". Lasciando ai lettori – qui sotto c'è lo spazio per i vostri commenti – lo sforzo di fantasia per elencare modi e artisti più eroici di chi piglia in un solo concerto i soldi di vent'anni di lavoro di un operaio e giunge con un jet personale, c'è da aggiungere che, per candida ammissione, poche righe dopo lo stesso pianista precisa che "siamo ancora così uniti che non ci sfiora l'idea di qualcosa di diverso". Ce n'eravamo accorti: che eravate uniti [il modo in cui Jack DeJohnette punteggia telepaticamente alcuni accenti di Jarrett è cosa che ha del sublime] e che non vi sfiora minimamente l'idea di qualcosa di diverso!

Stuzzicato poi da Pellicciotti sul fatto che la nostalgia è sempre vincente [Umbria Jazz sembrava davvero Villa Arzilla con gente come Sonny Rollins, Ornette Coleman e Henry Salvador], Jarrett cade nel più banale dei vizi, quello del laudator temporis acti.

"Non c'è nulla di nuovo in giro, non ci sono giovani musicisti davvero importanti" sentenzia il pianista, puntualizzando poi "almeno non li conosco". Bontà sua!
Che lo scenario complessivo sia molto differente da quello degli anni Sessanta, non ci vuole certo Jarrett per dimostrarlo, ma stupisce e in qualche modo suona stonato continuare a sentire che una volta era pieno di geni e oggi invece siamo costretti al deserto della creatività.

"Alcuni sembrano interessanti all'inizio della carriera, poi scatta qualcosa nell'inconscio" diagnostica il dottor Jarrett "e rifanno sempre le stesse cose".
Ma cosa ascolta Jarrett?
Poco o nulla, come ci dice lui stesso: "non frequento diversi tipi di pubblico, solo quello che viene ai nostri concerti" [ci sarebbe da ridere o da piangere, dato che allo stesso pubblico l'artista riserva le proprie paturnie caratteriali].

Di musicisti che fanno cose nuove e interessantissime ce ne sono davvero molti, forse anche di più di quando il giovane Keith si faceva largo nel mondo del jazz. Peccato che molti siano costretti a stare nell'ombra perché i grandi Festival e le grandi istituzioni preferiscono a caro prezzo la "prevedibile genialità" di un Keith Jarrett.

Forse, se alla fine degli ani Sessanta, Miles Davis avesse detto ai suoi giovani pianisti che non facevano nulla di interessante rispetto ai tempi "eroici" in cui suonava con Charlie Parker, John Coltrane o Gil Evans, oggi il nostro non avrebbe problemi di fobie da flash.
Ma Miles non lo ha fatto. Non per nulla era Miles Davis. Forse anche più scorbutico di lei, mr. Jarrett. Di certo più eroico!










Tuesday, May 29, 2007


Un disco e un libro, così, anche senza motivo...


Clark Terry SWAHILI 1955 [Lonehill Records]


La prima seduta di Clark Terry da leader, con un bel gruppettino comprendente Horace Silver, Oscar Pettiford, Jimmy Cleveland, Cecil Payne e Art Blakey, il tutto arrangiato da Quincy Jones che di Terry era stato allievo. Da riscoprire!

Nella ristampa anche una seduta della fine del 1954.



Donald Barthelme BIANCANEVE 1967 [Minimum Fax Classics]


Finalmente ristampato un grande "classico oscuro" della letteratura americana.

Indescrivibile, folle, divertentissimo e tutto da leggere, senza chiedersi nulla!


Monday, May 28, 2007


Dialogando di jazz con Warren Ellis [Dirty Three, Grinderman, Bad Seeds]


Sabato sera ero a cena con i Dirty Three prima del loro concerto veneziano e ho parlato a lungo con il violinista e leader Warren Ellis, che è anche componente dei principali progetti di Nick cave, i Bad Seeds e i più recenti Grinderman


E' stato davvero piacevole e per alcuni versi sorprendente chiacchierare a lungo di jazz, in particolare del compianto collega di strumento Leroy Jenkins, con cui Ellis aveva in progetto di collaborare.


Abitando a Parigi ed essendo amico del critico Alexandre Pierrepont, Ellis frequenta spesso festival e concerti e ha avuto parole di assoluta ammirazione per Roscoe Mitchell, William Parker, Cooper Moore, ma anche per Cecil Taylor e per la Church of John Coltrane [!]


La musica dei Dirty Three non ha molto a che vedere con quelle esperienze, ma l'apertura e la passione di Ellis ai differenti linguaggi è la conferma della sua statura di artista.


Tutto sui Dirty Three: www.dirtythree.com


Ascolti:

Grinderman Grinderman [Mute, 2007]

Dirty Three Cinder [Touch&Go, 2005]

Dirty Three She Has No Strings Apollo [Touch&Go, 2003]

Dirty Three Whatever You Love, You Are [Touch&Go, 2000]


Wednesday, May 02, 2007


Liberare il free: oltre la dialettica tra avanguardia e mainstream




Nuovo contributo al dibattito sul free lanciato da Musica Jazz qualche mese fa e ripreso da AllAboutjazzItalia