Monday, July 16, 2007


MA KEITH TE LO FA FA'?
Estremamente grata la stampa – quella quotidiana in primis – a mr. Keith Jarrett, che per non smentire la propria fama di ansioso e scontroso artista, ha ben pensato di mandare a quel paese non solo gli immancabili flashatori che lo hanno "costretto" a interrompere anzitempo il concerto, ma addirittura la città tutta di Perugia!
La cosa non è ovviamente piaciuta al direttore artistico di Umbria Jazz e le scuse ufficiali del pianista sono sembrate più di circostanza che non di sostanza.

Al di là della "notizia" – che non è poi molto sorprendente, anche un paio d'anni fa all'Arena di Verona le cose erano andate più o meno così, anche se senza "anatema" – viene una volta di più da chiedersi su quali "squilibri" si regga il nodo artistico/umano/business di Jarrett.

Una sua data in trio – ma anche in solo poco cambia – costa agli organizzatori cifre che a volte si stentano a coprire anche con biglietti salatissimi e cospicui sponsor ed è evidente che questo meccanismo spinge a fare i concerti di Jarrett in posti molto grandi, in cui aumenta la percentuale degli sbadati fotografatori/tossitori/molestatori.

[Che poi, nessuno ha mai insegnato agli incauti cacciatori di immagini che il flash funziona solo se il soggetto fotografato è a pochi metri di distanza? E che quindi le loro "malefatte" sono pure assolutamente inutili?]

Credo sia ora che gli operatori incomincino a prendere coscienza del fatto che se sborsano centinaia di migliaia di euro, è l'artista a avere dei doveri nei confronti del pubblico e di chi lo paga e – fatta salva la dovuta educazione e il sacrosanto rispetto nei confronti della sua musica, che non mi sembra mai mancato – non viceversa.

Altrimenti si rischia di perdere il contatto con la realtà, come mi sembra che Jarrett abbia fatto ormai da tempo, musicalmente [dove continua a riproporre lo stesso, per quanto eccellente e fantasioso, rituale sonoro] e soprattutto umanamente.

Pochi giorni prima dell'incidente perugino, in un'intervista a Giacomo Pellicciotti pubblicata su La Repubblica, Jarrett definisce il modo di suonare del suo Standard Trio come "il più eroico che si possa immaginare". Lasciando ai lettori – qui sotto c'è lo spazio per i vostri commenti – lo sforzo di fantasia per elencare modi e artisti più eroici di chi piglia in un solo concerto i soldi di vent'anni di lavoro di un operaio e giunge con un jet personale, c'è da aggiungere che, per candida ammissione, poche righe dopo lo stesso pianista precisa che "siamo ancora così uniti che non ci sfiora l'idea di qualcosa di diverso". Ce n'eravamo accorti: che eravate uniti [il modo in cui Jack DeJohnette punteggia telepaticamente alcuni accenti di Jarrett è cosa che ha del sublime] e che non vi sfiora minimamente l'idea di qualcosa di diverso!

Stuzzicato poi da Pellicciotti sul fatto che la nostalgia è sempre vincente [Umbria Jazz sembrava davvero Villa Arzilla con gente come Sonny Rollins, Ornette Coleman e Henry Salvador], Jarrett cade nel più banale dei vizi, quello del laudator temporis acti.

"Non c'è nulla di nuovo in giro, non ci sono giovani musicisti davvero importanti" sentenzia il pianista, puntualizzando poi "almeno non li conosco". Bontà sua!
Che lo scenario complessivo sia molto differente da quello degli anni Sessanta, non ci vuole certo Jarrett per dimostrarlo, ma stupisce e in qualche modo suona stonato continuare a sentire che una volta era pieno di geni e oggi invece siamo costretti al deserto della creatività.

"Alcuni sembrano interessanti all'inizio della carriera, poi scatta qualcosa nell'inconscio" diagnostica il dottor Jarrett "e rifanno sempre le stesse cose".
Ma cosa ascolta Jarrett?
Poco o nulla, come ci dice lui stesso: "non frequento diversi tipi di pubblico, solo quello che viene ai nostri concerti" [ci sarebbe da ridere o da piangere, dato che allo stesso pubblico l'artista riserva le proprie paturnie caratteriali].

Di musicisti che fanno cose nuove e interessantissime ce ne sono davvero molti, forse anche di più di quando il giovane Keith si faceva largo nel mondo del jazz. Peccato che molti siano costretti a stare nell'ombra perché i grandi Festival e le grandi istituzioni preferiscono a caro prezzo la "prevedibile genialità" di un Keith Jarrett.

Forse, se alla fine degli ani Sessanta, Miles Davis avesse detto ai suoi giovani pianisti che non facevano nulla di interessante rispetto ai tempi "eroici" in cui suonava con Charlie Parker, John Coltrane o Gil Evans, oggi il nostro non avrebbe problemi di fobie da flash.
Ma Miles non lo ha fatto. Non per nulla era Miles Davis. Forse anche più scorbutico di lei, mr. Jarrett. Di certo più eroico!